Il Banchetto della Felicità,  Viaggiare

Cosa mi resta.

Io al Villaggio Magico di Calcata (VT) – foto di Sara Grillo

Quando aveva diciotto anni, Alexandra David-Néel (leggi qui la sua storia), nel 1886 lasciò la casa di famiglia a Bruxelles per arrivare in Spagna, in bicicletta. Poi viaggiò a lungo in Oriente e fu la prima donna occidentale a visitare Lhasa, nel 1924, dopo otto mesi di cammino attraverso il Tibet. Una viaggiatrice solitaria molto coraggiosa.
Ognuna di noi quando viaggia da sola supera confini, che non sono solo geografici, profondamenti radicati in noi. Sono confini sociali, ma anche familiari e spesso autoimposti.
Si sa che dentro questi confini, che siano disegnati da noi o dagli altri, si sta bene, non c’è pericolo, sono luoghi che conosciamo perfettamente, anche se riconosciamo che possono starci stretti e magari ce ne lamentiamo anche. Ma ci stiamo bene.
Ci vuole coraggio e follia per superarli. O qualcosa o qualcuno che ti costringa a farlo. Beninteso, non siamo tutte così, c’è chi, come Alexandra, sa di non avere confini da superare ed è animata solo dalla voglia di esplorare e conoscere. Mi ricordo che nei miei primi viaggi da sola, costretta a farli per studio o per lavoro, compravo da mangiare in gastronomia e mi chiudevo in camera per cenare, perché non ero ancora pronta per sedermi da sola al ristorante, oppure sbarravo la porta di ingresso dell’appartamento con una sedia o un tavolo e poi dormivo con un coltello da cucina sul comodino, che non avevo ancora il mio, quello che tengo sempre in borsa. Perché la paura deve trovarci pronte a reagire, non a subire, pietrificandoci.
Anche se non posso paragonare i miei viaggi alle sue avventure estreme, posso dire che il mio Tibet lo conquisto ogni volta e salgo sempre più verso la cima. Ed è con il viaggio che supero i confini che io ho scelto per me, come guidare Cory per 3131 km, quasi sempre da sola, o affrontare la paura della nebbia in autostrada cantando, seguendo il camion di fronte, pieno di lucine, respirando forte, sorseggiando Rescue Remedy come se non ci fosse un domani. E dormire in tenda a Siena, sfidando l’umidità e il primo fresco autunnale e sapendo di impiegare minuti infiniti per richiuderla, e al Villaggio Magico di Calcata con Sara a suonare tamburi, cantare e iniziare Fuochi Sacri, e prepararmi il caffè con il fornello da campo al risveglio nella Casa delle Fate di Elisa a Grosseto. Fare la pipì dietro i cespugli o all’ecobagno con la paglia, rendersi conto che il prezzo così basso dell’hotel di Ancona era in linea con i bassi dintorni, eppure non averne paura. Non aver paura che l’altro possa farmi del male è una disposizione interiore che mi piacerebbe tanto spiegare, perché possa essere dentro ognuna di noi, ma non so farlo a parole. Vi chiedo di provare a credermi, a crederci. A credere in voi.

Io, Cory e il bucato

Quanto mi resta dopo questo viaggio. Tanto.
Mi restano i sonni a casa dei miei figli, che mi hanno fatto riposare nelle loro vite, e a casa delle suore, le sorelle, le vere sorelle, sorridenti nella loro gioia conquistata, nelle regole che un pochino si possono infrangere e così Suor Teresa può aspettare il mio rientro per chiudere la casa, e lo fa stirando e sistemando vestiti. Mi restano le carezze ai gatti di Anna Ornella e di Vincenza, che mi hanno ospitata nelle loro case, regalandomi sonni silenziosi, una nella campagna viterbese e l’altra in quella pugliese. Mi restano i tempi veloci di chi vive in città da incastrare con i miei e così accompagnare Fabiana nella sua spesa quotidiana. Mi resta il ricordo del mio bucato steso a un filo sospeso tra le portiere di Cory, che ogni giorno era una città diversa.
E poi mi restano i regali: i taralli pugliesi di Menia, i libri di Leonardo, le riviste di Mimmo, la cena con Elisa e Riccardo, la Festa Agricola con Alessandro e tutta la ciurma gioiosa di Verso Sud, la gita a Trani con Nicola. E non dimentico il regalo che mi hanno fatto quei meravigliosi folli che hanno contribuito alla raccolta fondi: Federica, Paolo, Domenico, Claudia, Germana, Rossella. Ad alcuni di loro ho già consegnato il promesso messaggio dall’Universo, gli altri lo riceveranno al prossimo viaggio o quando saranno pronti a chiederlo. E quanto amore mi resta dalle donne che si sono prodigate per me, per trovare posti in cui portare Banchetto: Claudia, Paola, Miwi…

Io alla Festa Agricola a Corato (BA) – foto di Alessandro Testa

Ho vissuto in case temporanee, in strade e piazze attraversate dall’umanità, nei laghi di Bracciano e Bolsena, tra le stanze di Castel del Monte, negli ulivi della Murgia, accanto alle colline delle Marche. Ringrazio la compagnia della Variante di Valico, della nebbia dell’Irpinia, dei cipressi del Chianti, della bomba d’acqua a Napoli, del cielo sopra Piazza del Campo a Siena, dell’acqua calda di Petriolo, delle mozzarelle di Battipaglia, del vino pugliese, della pizza dei “sulille“, dei bagni dei centri commerciali e degli autogrill. E ringrazio l’officina Tuscolana, che senza di loro questo viaggio non sarebbe andato avanti.

A Bari, Angelo mi ha consegnato un messaggio, dai suoi occhi scintillanti ai miei. Lì ho capito che il viaggio era concluso. Il contenuto  è privato ed è solo per me, così come accade per ogni messaggio di Banchetto che è solo per chi lo ascolta. Lo racconto perché voglio invitarvi sempre e ancora a credere nei prodigi, nei miracoli, che altro non sono che accadimenti per cui provare meraviglia, fatti che accadono qui, sulla terra.

Chi viaggia senza incontrare l’altro, non viaggia, si sposta” è la frase più famosa di Alexandra ed è per questo che mi è tornata in mente, dopo averne letto da Vito Teti, antropologo calabrese, anche lui sensibile al tema del viaggio come esperienza catartica, passaggio di formazione e di trasformazione.
Il viaggio è questo e questo è ciò che mi accade quando viaggio. E’ la mia ricarica di umanità, per continuare a sperare nella vita. E poi i viaggi con Banchetto sono sempre stati così, non si finisce mai di incontrare, entrare a passi lenti nelle case altrui, ascoltare le vite che sono trascorse e quelle che mai si erano conosciute. Banchetto apre i cuori e ascolta i battiti che parlano.
Qualcuno mi ha detto che mi aspettava perché io porto il sorriso e la luce, ma non sa quanto il mio andare e il mio essere aspettata mi riempiano di gratitudine e di benedizioni infinite. Non sa quanto io viaggi solo per incontrare l’altro, per ascoltarlo, per guardarlo negli occhi, per sorridergli. Come se non potessi fare altro, come se non potessi farne a meno.

E poi qualcun altro mi ha detto che “Sedersi ad ascoltare Banchetto rende il mondo migliore. Almeno rende migliore il nostro piccolo mondo personale“. Può essere che sia davvero così, io sono solo una che osserva e ascolta. Ma di certo c’è che tutti voi avete reso e ancora rendete migliore il mio piccolo mondo.

Non finisce qui.

 

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