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Careri

Careri
Careri, La Casa Azzurra, foto di Eleonora Uccellini, 2023

Sono stata a Careri per la prima volta nel settembre 2013, ero da sola. Avevo un lavoro serio: catalogare alcuni centri storici per la Regione Calabria. Dicevano che per poter conservare e rivitalizzare i borghi calabresi bisognava conoscerli bene, la storia, le carte, le mappe, i materiali, i paesaggi. Niente di più vero, peccato però che molti di quei borghi, nonostante quel progetto dimenticato (ho cercato in rete e non esiste più il sito), siano ancora sconosciuti e sempre più abbandonati, non solo da chi ci viveva ma anche da chi avrebbe dovuto conservarli. Già allora ero rimasta affascinata dal suo silenzio, dai suoi colori trasparenti, dal meraviglioso paesaggio che la circonda, la “Vallata delle Grandi Pietre“. Le sue rughe (i vicoli) mi avevano rapita.
La leggenda racconta che venne fondata dagli abitanti di Panduri, distrutta da un violento terremoto nel 1507. Pare che ai piedi del vecchio abitato ci sia una grotta in cui è nascosto un potente magnete naturale, in grado di creare terremoti e altri sconvolgimenti dell’anima. E cose magiche. E misteriose.

Poi sono tornata a fine gennaio 2022, ero con Fabrizio e Carlo e Domenico, la mia famiglia. Uscivamo dalla nostra esperienza con il virus e Fabrizio voleva salutare la Calabria e stare tutti insieme all’aperto, prima di tornare su, in città. Mi hanno chiesto di guidarli, loro sanno quanto ami la mia terra, quanto mi senta a casa nella Locride e quante strade e paesaggi conosca, da percorrere e conservare nella memoria. Li ho portati lì a Careri, non so bene neanche io perché, visto che erano anni che non ci tornavo. Ma è così che è andata e appena messo piede nella parte abbandonata del paese, ho sentito una sorta di connessione e familiarità. Ci aggiravamo tra le case abbandonate, chiedendo “permesso” prima di entrare, senza spostare niente, senza toccare le memorie sacre dell’abbandono. C’era una vecchia casa ad angolo, colorata di un azzurro consumato, sono entrata, c’era una scala, un corridoio e una stanza grande, piena di polvere, di carte e tappi a corona per terra, fotografie, e un mobile con uno specchio grande quasi quanto tutta la parete. Ero lì davanti, da sola, mi sono specchiata e fotografata nel mio riflesso. Mi piaceva quella foto, sembrava che mi volesse dire altro, che ci fosse qualcosa nei contorni che io non avevo fotografato, ma che comunque esisteva. Cose che non potevano essere viste con gli occhi. Quando sono tornata a casa ho sistemato la foto nelle mie vetrine e ho ricevuto diversi apprezzamenti per lo scatto. E poi, quella stessa foto, mi ha fatto conoscere una persona. E molte cose sono cambiate. Interi paesaggi interiori rivoluzionati dall’ennesimo terremoto generato dal quel magnete, nascosto in quella grotta sconosciuta.

Qualche mese dopo, era il 17 luglio, ero di nuovo a Careri, con quella persona questa volta. Siamo entrati in quella casa e ci siamo guardati in quello specchio pieno di polvere e di memorie di innumerevoli riflessi, prima di noi. Avevo portato un velo, una candela e desideri da bambina. Avevo un vestito bianco a pois neri, era quasi un matrimonio, con gli invitati che ci guardavano da fotografie sbiadite. C’era un’aria ferma e un silenzio irreale, non eravamo in un tempo né tantomeno in un luogo fisico. Solo le pareti dell’eternità hanno visto e ancora conservano quello che è successo quel giorno. Un patto firmato con le ragnatele e scritto nelle fessure dei muri, spiragli su un Altrove che entrambi stavamo cercando di raggiungere, di nuovo. E da cui eravamo partiti, millenni fa. Era una magia, attirata da quella pietra nella grotta, non lontano da lì. La raccontammo, quella nostra storia iniziata proprio dentro quello specchio, ad una decina di persone, nella piazza principale del paese. Anzi, la raccontai io, in verità, al centro di un palco immaginario, illuminato dalla mia gioia e dal mio entusiasmo e urgenza di far sapere al mondo che avevo preso un impegno, assurdo e meraviglioso.

L’altro ieri, il 4 giugno 2023, sono salita in auto e sono arrivata a Careri. Era il giorno del nostro Sposalizio Magico, era stata una mia idea farneticante, dovevano esserci le mie damigelle e la nostra dea celebrante, che avrebbe benedetto l’amore e che mi aveva detto di aver segnato la data nei sogni. Sono entrata in paese e ovunque c’erano fiocchi bianchi attaccati ai pali, alle ringhiere, agli alberi…era per un matrimonio. Ho pianto, come faceva a saperlo, Careri, che io ero lì per un matrimonio? Stupida, non erano per me, erano per F. e C. che si erano sposati il giorno prima. Mi sono presa quel poco che restava della loro gioia, palloncini sgonfi, chicchi di riso per terra. Sono andata alla casa azzurra. Era chiusa. Qualcuno aveva sprangato il portone, con bastoni e fil di ferro. Mi sono accorta che era stato fatto in tutte le case, per una questione di sicurezza ho pensato, perché ogni giorno si stacca un pezzo di quelle case, di quel paese. Mi sono seduta, con il velo tra le mani, ho aspettato un po’. Un po’ tanto. Poi ho raccolto le mie cose e ho lasciato la candela accesa e un messaggio. Lui non è venuto. E’ una strana sensazione. E’ quando sai che una cosa non potrà mai accadere e comunque credi che accadrà. Alcuni la chiamano follia, altri fede.
Tornando, ho incontrato tre gatti, bellissimi, sporchi, tre fratelli. Dormivano al sole, li ho accarezzati, mi hanno seguita. Ho fatto come loro, seduta su un gradino, ho contemplato il nulla. Sono rimasta ferma, immersa nel niente. Ogni tanto un filo di vento, un rivolo di acqua che usciva dalla fontana e una mosca che girava intorno a un buco vuoto. Si dice che il nome di Careri derivi dal termine latino “careo” che significa “non avere, mancare di qualcosa“, ma anche “privarsi” e ancora “desiderare, sentire la mancanza, sopportare con dolore l’assenza di qualcuno“. Careri è il luogo della mancanza, della privazione, della nostalgia e della malinconia. Ecco perché mi sentivo a casa. Mentre contemplavo le iniziali LB sulla lunetta in ferro del portone del palazzo che avevo di fronte, con i gatti che si spostavano da un sole all’altro, ho pensato che quello poteva essere il luogo adatto per il Rifugio che ho in mente. Essere niente in un luogo di niente. Contenere il niente che, a dispetto del peso inesistente, ha un volume invadente.
La porta di casa della signora M. era aperta e lei era lì a muoversi lentamente, nella cucina. Non mi sono fermata a parlare questa volta, così da non doverle dare il dispiacere di dover andare via, come fu l’altra estate, ma volevo essere sicura che lei fosse ancora lì.

I gatti mi avevano seguita fino all’ingresso del paese, dove avevo posteggiato, ho salutato con un ultimo sguardo le case e le pietre e gli spiragli e ho iniziato a scendere verso il mare. Prima di tornare a casa mi sono fermata a Bovalino, per un gelato, mi avevano detto che dovevo provare il tartufo speciale. E allora l’ho fatto: un classico tartufo, nocciola e cioccolato, ma con il cuore di amarena, ricoperto di croccante di mandorle e nocciole, che galleggiava nello sciroppo di amarena e servito in una coppa di vetro rosa. Una cosa dannatamente dolce e così bambina. Mi ha ricordato il ricostituente che mi dava mia madre quando ero piccola e non crescevo. Purtroppo non ha funzionato perché sono rimasta piccola e anche un po’ bambina, forse.
Mentre lo mangiavo, ho pensato che sarà quello il sapore che avrà il dolce del nostro sposalizio, quando mai accadrà. Un gusto magico, un gusto piccolo, cioccolato e amarena, dolcissimo e croccante, con il cuore che lo vedi solo se hai la pazienza di scavare e il tempo di aspettare.

E’ questo il sapore che hanno i sogni.

 

 

PS: lascio qui alcuni link utili se vuoi andare a Careri per salutare la casa azzurra:
– per conoscere meglio la zona e l’Aspromonte visita il sito delle Guide Ufficiali del Parco dell’Aspromonte e lasciati guidare
– per saperne di più su Panduri leggi qui e qui
– per provare il tartufo vai al Bar Martino, in Corso Umberto I, n. 219 , Bovalino Marina. Leggi la storia qui.

E se vuoi sapere altro scrivimi,
LittleBirds

 


 

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