Pensare

Uscita d’emergenza

Chianalea (RC) – foto Eleonora Uccellini, 2023

Sono uscita da quel mondo virtuale a novembre dell’anno scorso, in fretta, senza saluti e senza bagagli. Era diventato troppo fastidioso, troppo noioso per me, per quello che stavo vivendo, per la rivoluzione che avevo iniziato. Mi stava rubando troppo tempo prezioso.
Oggi vi faccio ritorno, cambiata, asciugata, nutrita di altre parole e di altre storie. Di nuovo sola, probabilmente per molto tempo ancora, probabilmente per sempre. E così salda nei voti che ho preso.
Non torno per animare le mie solitudini, per riempire i miei vuoti, per dichiarare la mia esistenza, come feci un tempo. No.
Le mie solitudini sono state animate dalla vita che continua ad andare avanti. I miei vuoti sono stati riempiti dal dolore di un’assenza che ormai è parte di me, forse lo è anche più di prima, di quando era presenza, di quando era battaglia di anime affini nell’inquietudine. La mia esistenza non ha più bisogno di essere dichiarata, esiste anche nell’ignoranza del mondo.
E allora perché ritornare? Forse perché ho iniziato a raccogliere e raccontare storie e sento che non posso farlo solo per me stessa.

Qualche mese fa, durante una di quelle manifestazioni che si dicono civilmente impegnate, una di quelle occasioni a cui non mancavo mai e mai mancavo di dire che c’ero stata, quasi che il dirlo fosse stata un’urgenza ancor più che esserci davvero, quel giorno una mia amica mi disse “Ma che fine hai fatto? Non ti si vede più in giro, ma nemmeno online…”. Era vero, non ero più dappertutto, ero solo dove volevo davvero essere, dove la mia presenza aveva un senso reale. Ve lo ricordate che esiste un senso reale delle cose, vero?
Quell’osservazione mi fece pensare. Io ero molto felice di non essere più in giro, soprattutto in quei luoghi inutili ma in cui “bisognava” esserci, che ogni volta che andavi pubblicavi una foto, come un timbro nella tessera raccogli punti, che poi ricevevi il premio del rispetto e dell’inclusione sociale, ma mai nessuna pentola o tostapane.
Ho pensato che ero felice, e lo sono tuttora, per il mio tempo guadagnato e speso così lentamente, impiegato solo per ciò che mi dà davvero piacere. Non so più niente di cosa accade a due passi da me o di cosa fanno le persone che conosco e se qualcuno vuole sapere come sto o cosa sto facendo, mi deve chiamare, mi deve cercare, come si faceva quando avevo meno anni di adesso. Anche se poi, a ricordarsi bene, a me nessuno mi chiamava, non avevo amici e le mie feste di compleanno, in quel giorno di fine estate, erano poco frequentate. Sarà per questo, forse, che ho avuto tanto bisogno di circondarmi di gente, di amici, di pensieri. Chi vuole avere notizie di me deve andare a leggere quello che scrivo nel mio spazio libero di parole, che lì troverà solo quelle veramente necessarie ed essenziali.
E ho ridotto la vita all’essenziale. Il superfluo è stato rinunciato, del resto lo è per definizione. Però non ho ancora imparato a rinunciare al vino, alle scarpe, alle amiche, alle storie.
Oggi, se qualcuno vuole sapere qualcosa di me, prima di tutto, deve ricordarsi di me senza aiuti, senza che ci sia alcun post appena pubblicato che soccorre la sua memoria. Deve avere me nei suoi ricordi. Devo aver lasciato qualcosa. E se non l’ho fatto, perché qualcuno dovrebbe ricordarsi di me se non ho dato nulla, in cambio di quel pensiero, di quel ricordo?
Esatto. Non c’è alcun motivo per farlo e la nostra mente ha più spazio per respirare pensieri altri. Magari anche alti.

La mia amica ha continuato dicendomi “ma tu eri sempre così attiva, così presente, così social!
OhSantapacedivina! Io sono ancora attiva, dannazione! Amo, vivo, lavoro, penso, leggo, scrivo, cammino sotto il sole e ho dei sonagli attaccati alla borsa che riempiono l’aria di musica, ho finito di intrecciare una coperta di lana, di diversi metri quadrati di superficie, tutta colorata, per un letto matrimoniale che abito da sola. Sono presente, caspita se sono presente! Non sono mai stata così presente a me stessa come adesso e così consapevole di ogni momento presente che accade. È solo che voi non lo sapete.

Sono socialE, ho aggiunto una lettera. La E di Esserci.
Esserci, in questo mondo. Non a parole e nemmeno con le buone intenzioni.
Esserci quando incontro la vicina che mi chiede come sto perché mi ha visto dimagrita e io le dico che è colpa dell’amore e lei mi risponde che tutto si aggiusterà. O l’altra che mi chiama principessa, mi abbraccia e mi guarda insieme alla sorella, sedute in balcone a prendere il fresco della sera. E ancora quella che mi chiama da lontano, con la mano, per raccontarmi di quanto si senta un rottame pronto alla morte, piangendo come una bambina impaurita.
Esserci quando compro il quaderno in cartoleria, per scrivere e scrivere le pagine del mio diario d’amore che nessuno leggerà, e sorridere alle ragazze che stampano libretti per il Catechismo. Esserci mentre suonano le campane della chiesa, che ho imparato che il tempo si può misurare anche così, con le voci delle signore che si sostengono a vicenda per il rosario e la messa del pomeriggio.
Esserci quando Abramo, dal suo angolo al semaforo, mi racconta del Marocco e mi dice “Come stai cugina? Se tu stai bene tutto è bene”, che poi lo dice a tutti, certo che lo so.
E se piove me ne accorgo perché lo vedo con i miei occhi, non perché qualcuno lo scrive, con caratteri uguali per tutti, su un muro bianco luminoso. Idem per il terremoto. Mi basta alzare gli occhi al lampadario, come abbiamo sempre fatto, per verificare che ci sia stato veramente.
Ho imparato a leggere i libri.
Ho scoperto la gioia di annoiarmi.
Contemplo il niente che accade. E no, non mi sento inutile, né vuota.
Ripenso a quanto tempo ho passato per raccontare cosa stavo facendo, per leggere cosa stavano facendo gli altri. A quanto tempo passato per riempire i miei vuoti.
Per fortuna si cambia.

Perché è così difficile accorgersi del mondo che abbiamo intorno? Perché ne abbiamo dovuto inventare un altro che ci divora anziché nutrirci?
Banalmente, perché siamo dei comuni esseri mortali.
Seriamente, perché potremmo non essere dei comuni mortali, potremmo viaggiare verso le alte bellezze della divinità. Ma dovremmo essere pronti a guardare dentro di noi, anche le cose più brutte che ci abitano, quelle che non vogliamo vedere. Essere pronti ad affrontare le nostre prove più dure, quelle che ci scarnificheranno, riducendoci all’osso. All’essenza.

Ancora una volta, essere essenza.

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