eredità
FROM THE PAST,  Pensare,  Raccontare

Eredità

Eredità

Diverse notti fa, eravamo vicini al Natale, ho fatto un sogno che mi è rimasto dentro. La nonna G, che non ho mai conosciuto, madre di mia suocera MG, aveva invitato tutta la famiglia alla casa che avevano al mare perché voleva farci vedere come l’aveva trasformata. Ci aveva accolti nel salone, poi ci aveva portati nella sua grandissima cucina e lì aveva iniziato a preparare delle pizze fritte. Mi disse che la cucina era grande perché così poteva entrarci tanta gente. Nel frattempo mia suocera, al piano di sotto, friggeva crispelle.
Io mi sono sentita parte di questa cerimonia di frittura, come se fosse l’eredità di una funzione di accoglienza e nutrimento che è nel cibo condiviso con le persone che si amano. Mi sono sentita parte di una famiglia in cui le persone entrano non per legami di sangue ma per quelli di affetto, così come è accaduto a me, figlia non di sangue ma di amore, rispetto e libertà.
Quando l’ho raccontato a MG, lei mi ha detto che sarei piaciuta a sua madre, una donna la cui casa, e soprattutto la cucina, era sempre aperta e che dimostrava il suo amore cucinando e non risparmiandosi mai per i figli, il marito, i nipoti, gli amici.
Non si è risparmiata mai G, è sempre stata un passo dietro gli altri. Lei si è pensata sempre per seconda, ma si è data per intero,  per amore, per sacrificio, così come le era stato insegnato.  C’era un marito, un omone autoritario che indicava la via, tre figli da amare prima di ogni cosa, nonostante loro. Non ha potuto decidere della sua vita e allora l’ha fatto con la morte e così, ad un certo punto,  ancora giovane,  ha deciso di andare via. G era troppo stanca.

Qualche giorno dopo sono andata a casa di mia madre C per prendere in cantina un servizio di piatti che avrei usato per il nostro prossimo affollato pranzo di Natale. Il servizio era quello di mia nonna paterna M, anche lei mai conosciuta e di cui so pochissimo, ma che sento molto vicina a me. Di M in famiglia non si parlava mai, si dice fosse un po’ strana e che facesse sedute spiritiche in casa. Sono pochissime le sue tracce di foto o ricordi che si trovano nelle case qui e in Umbria,  dove viveva, e non è rimasto più nessuno a cui chiedere. Ma la nonna M era una donna particolare. Mio padre mi diceva che le assomiglio perché anche lei era impegnata in tante attività che la portavano a stare spesso fuori casa, come se quella vita le stesse stretta.
Ho saputo, poi, che si era ritrovata a diventare maestra perché era necessario che ci fosse almeno un’entrata sicura in famiglia, con quello strano soggetto di mio nonno R, e che lei avrebbe voluto volare più in alto. Mio padre mi diceva che abbiamo lo stesso sorriso.
In qualche modo, forse in quello che le riesce meglio, lei è arrivata a me. E’ venuta a trovarmi nei sogni, mi ha parlato, ogni tanto ridiamo insieme di questa vita strana. Lei ride degli uomini perlopiù,  si fa proprio grasse risate e io rido con lei perché è contagiosa. In un sogno mi ha chiesto di continuare la sua vita di ribellione che non ha potuto portare avanti come avrebbe voluto.
Anche lei è andata via giovane, anche lei a un certo punto si è stancata di quella vita e se ne è andata, senza interferire più di tanto, in un atto di superiorità e di lucida consapevolezza di essere al posto sbagliato nel momento sbagliato. Questo tempo le sarebbe piaciuto. Questo tempo le avrebbe dato la possibilità di incazzarsi e di reagire, di scegliere di andare avanti e di volare molto più in alto di chi le stava accanto, che poi non è una colpa. O magari, ancora meglio, avrebbe potuto provare a volare insieme a R, senza la necessità di stare un passo indietro per evitare di sminuirlo.

Pensavo a queste cose mentre contavo e scartavo i piatti che mio padre aveva incartato, uno ad uno, in fogli di giornale. Finita la conta, ho realizzato che quel servizio non sarebbe bastato per tutta la famiglia riunita e che quindi avrei dovuto integrarlo con quello della nonna G che abbiamo in casa. “Poco male“, mi son detta, “Sono entrambi bianchi, si può fare“.  La mia sorpresa, quando ho accostato i piatti dei due servizi, è stata totale perché non solo sono dello stesso colore, ma hanno lo stesso bordo sagomato, lo stesso filo dorato e sono stati realizzati dalla stessa fabbrica tedesca, però a qualche anno di distanza. Li differenzia solo il piccolo decoro floreale dorato del servizio di G.
Eccole lì,  una accanto all’altra,  le due donne del passato che non ci sono più, eppure entrambe davanti a me in quei due piatti. Eccole, a guardarmi sorridendo dalle loro stanze di infinito, a mostrarmi che il ricordo ci permette di stare nell’eternità.

Ho apparecchiata la tavola di Natale con l’oro dei loro piatti e G e M erano con noi. Il mio posto era a capotavola e di fronte avevo P, mio suocero, il “grande vecchio” che assicura il passaggio al futuro e intorno c’erano i miei figli, mia madre, la mia famiglia di sangue e i parenti arrivati con l’amore, gatto compreso.
Le abbiamo ringraziate perché hanno curato e riempito il tempo prima di noi, perché noi potessimo esserci ed essere. Non potevano farmi regalo più grande, G e M, non potevano insegnarmi meglio, non potevano lasciarmi segni migliori di quelli che si sono presentati come una rivelazione graduale, dal sogno, ai piatti incartati, fino alla tavola apparecchiata. Ti senti una parte di una storia che inizia, prosegue con te e finisce con altri.

O non finisce mai in verità, perché diversi mesi dopo ho conosciuto la storia di altre due donne, M e G, una madre e una figlia (guarda caso con le stesse iniziali) morte insieme perché la prima si mise nella traiettoria di un proiettile sparato dall’uomo che la seconda aveva rifiutato. Morte entrambe per essersi ribellate ad un uso comune, quello di essere scelte senza la possibilità di scegliere. Era la prima metà del XX secolo e al sud si faceva così: o ci stavi in una situazione o ci stavi. Le altre opzioni sarebbero state troppo difficili da sostenere.  Anche loro sono parte della mia grande famiglia ritrovata e della mia storia, anche loro mi stanno dicendo qualcosa e anche loro sono arrivate perché volevano essere ricordate.
E io le celebrerò tutte, e le ricorderò tutte. Ricorderò Giovanna, Margherita, Maria e Graziella, perché ne ricevo l’eredità. Sono donne che hanno sofferto, hanno resistito, hanno combattuto, si sono arrese, hanno perso, hanno vinto la propria libertà. E non ha importanza il prezzo che hanno pagato. Adesso sono donne libere e così,  liberamente, saranno nel mio ricordo e nella mia vita.

Eleonora, prosegui la vita di Margherita.
Ma non commettere i miei stessi errori, non arrenderti.
Dai vita a Margherita

così mi ha detto lei, mia nonna, e così farò io.

 


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2 commenti

  • Annalisa

    Bellissimo racconto, molto emozionante. Mi hai fatto rivivere le feste di Natale dai miei nonni materni. Nonostante non ci siano più in questa dimensione ci parlo ogni giorno e mi danno tanta forza e amore. Grazie Eleonora

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