Mangiare&Bere

Aspettando “Qafiz” – Villa Rossi – 7 dicembre 2015 – Santa Cristina d’Aspromonte (RC)

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Adoro gli Chef.

Credo sia per il fatto che mi nutrono. Ovvero, io introduco nel mio corpo qualcosa che loro hanno pensato, immaginato, visualizzato, cucinato più volte, provato e riprovato, stravolto, ripensato e cucinato ancora. E hanno fatto tutto questo solo perché ciò che ingerisco possa essere di mio gradimento, solo perché sperano possa piacermi.

Nutrimento e piacere.E’ il massimo.

Li adoro anche per i nomi che danno ai piatti. E appena ho letto il menu che Nino Rossi aveva pensato per la serata di presentazione del suo nuovo progetto “Qafiz”, mi sono detta che avrei dovuto provare la sua cucina.

Dunque prenoto, salgo in auto e parto. Percorro strade che conosco bene e mi rammarico, infatti, che non sia giorno perché mi trovo nella terra degli Ulivi Giganti e non posso apprezzare il paesaggio intorno a me: qui gli alberi di ulivo si tengono per mano e danzano. Fateci caso la prossima volta che passate da quelle parti (Villa Rossi – Loc calabretto 1 – S. Cristina D’aspromonte, RC).

E’ Rossella ad accogliermi all’arrivo. Lei è carinissima e le leggo negli occhi la passione per questo posto. Le chiedo di raccontarmi la storia della Villa e di farmi vedere la struttura “Il complesso è costituito da due casali ottocenteschi che erano una residenza di campagna dei Ruffo di Calabria passati poi di proprietà alla famiglia Rossi che ne ha mantenuto la destinazione originaria. Vengono poi ristrutturati, rispettando i materiali, le tecniche e la storia e trasformati nella struttura che si vede oggi come location originale per ricevimenti“. Mi guardo intorno e scopro che è vero: la chiesetta, la casa padronale, gli edifici a supporto delle attività agricole (l’ex frantoio ad esempio), rimandano a un tempo, non così lontano dal nostro, in cui la terra era ricchezza e il lavoro nei campi era vita corale. Una vita dura, faticosa, sacrificante, ma corale.

Lascio che Rossella accolga gli altri ospiti e mi avvicino, attraversando ambienti coperti da volte a botte, al tavolo degli aperitivi dove Giovanni Rossi, padre di Nino, da perfetto padrone di casa, ci prepara un benvenuto più o meno alcolico: io scelgo Gin Tanqueray e acqua tonica. Insomma, mi sembra di stare a casa di amici e lo sorseggio davanti al caminetto, osservando i miei compagni di cena. Da qui capisco che sarà una bella serata e che l’attenzione per ognuno degli ospiti è il loro punto di forza. Sorrisi e gentilezza.

Entriamo finalmente in “Qafiz”, l’ex frantoio con le volte a crociera, una sala piccola che ospiterà, a regime, 16 coperti. Nino Rossi ci racconta, durante la cena, che il nome è l’originale arabo di “cafiso”, l’unità di misura dell’olio d’oliva (16-17 litri in base alla località), scelto proprio per creare un legame, non solo immaginario, con il luogo e con la storia di quella terra in cui, ovunque ti giri, hai sempre il verde negli occhi.

Mi avvicino al tavolo per il momento che preferisco: scoprire con chi cenerò.
E’ quasi come andare ad un appuntamento al buio. E scopro che i miei compagni di cena, stasera, sono fantastici, non so se sia stato per caso o per una intenzione premeditata, ma è così: una coppia sposata da poco e con un figlio piccolo (si sono regalati una serata e, visto che a Villa Rossi si può anche pernottare, una nottata da soli), due future spose, una accompagnata dall’amica misteriosa, lì per valutare la location e la cucina, una sommelier esperta che organizza anche corsi di cucina in città, accompagnata dal fratello e dal suo ex. E poi Little Birds. Simpaticissimi tutti e ci sono stati momenti in cui il livello di conversazione e divertimento ha superato quello dei piatti e, anzi, li ha contagiati di allegria al punto da influenzarne il ricordo. L’ho detto anche prima: sorrisi e aria di casa sono il punto di forza.

Abbiamo parlato di matrimoni in progetto e di quelli che stanno per compiere 25 anni (il mio), di amori che finiscono e che diventano inizio di altro, di figli di cui non si può fare a meno e di altri che si lasciano andare in Australia (il mio), di ricerca sofferta di abiti nuziali e di quelli che sono stati scelti (da me e mia madre) sfogliando una rivista e incrociando le dita affinché tutto fosse perfetto, dei ricevimenti in posti da sogno e di quelli in casa (il mio), di “Sei sicura di volerti sposare? Io non mi sposerei adesso” (io) e di “Abbiamo la casa e tutto, ci vogliamo sposare“.
E soprattutto abbiamo parlato di “Ma tu sei sposata da 25 anni? Non è possibile, sembri così giovane! E tuo marito dov’è?” e di “Non è qui. Semplicemente voglio fare queste esperienze da sola. Partire e incontrare gente come voi. E mettermi in gioco sempre. E superare i miei limiti ogni volta. E accettare di guidare con la nebbia al ritorno, in caso ci sia, senza paura. E sapere che posso essere. Mi serve per ricordarlo a me stessa, ogni volta“.

Inoltre, abbiamo cenato. E abbiamo mangiato bene. Anche se, sarò sincera, mi aspettavo un qualcosa in più. Una scintilla in più. Un guizzo, che chiudi gli occhi e pensi “si!”. Abbiamo cenato, bene.
Quattro appetizers per iniziare, serviti con il Brut Contadino di Ciro Picariello 2012: Rocher di coda alla genovese, Parfait di fegatini, chutney di cipolla e biscuit salato, Ricordo di un ovetto alla ‘nduja, Pralina di pappaluni e porcini. Consistenze in contrasto e sapori non troppo decisi. Buoni.
Due sono stati gli antipasti proposti, in abbinamento con Planeta Etna rosso Nerello Mascalese 2014: Pensavo fosse vitel tonnè ma siamo in Calabria (maionese di struncatura alle alici, capperi e lingua, carciofi e gelatina di pompelmo rosa) e Tataki freddo di manzo su cracker soffiato, capperi di Salina, tartufo e mousse di caciocavallo di Ciminà. Buoni entrambi, morbidissima la lingua (immagino per merito della lenta cottura di 72 ore a bassa temperatura), decisamente con troppa personalità la mousse, ma si sa, il caciocavallo di Ciminà è fatto così.
Tra gli antipasti e il primo ci è stata servita una ciotolina(ina) di Misticanza, succo di mela verde e rafano, che ho cercato invano tra le foglioline.
Come primo ci è stato servito un Risotto con latte affumicato, baccalà, pomodoro confit e cime di rapa, con una spolverata di zeste di agrumi che non era indicata in menu. E’ il piatto che mi è piaciuto di meno.
In attesa del secondo, la Pancia di maialino cotta a bassa temperatura con sedano rapa, senape ancienne e giardiniera di verdure alla vaniglia (fantastica!) con Pio Cesare Nebbiolo 2012, Nino Rossi viene in sala a salutare gli ospiti e ci facciamo promettere una visita alla bellissima cantina dopo cena. Nino è sorrisi e gentilezza, ancora una volta ritornano in scena.
Concludiamo la cena con lo Streusel (briciole di biscotto) al the verde, feijoa, mascarpone e cioccolato bianco di cui pensiamo “Perchè il quantitativo per un solo cucchiaio?” e l’Interpretazione di banana split, ovvero semifreddo alla banana bruciata, spuma di mandorle tostate, cremoso al cioccolato, amarene e panna croccante, una frutta dolce sostanzialmente, di cui pensiamo “Per fortuna abbiamo fatto il bis!“. E poi le coccole finali: Pitte di San Martino mignon, Piccole tartellette alla mela verde e Praline aperte con ganache di arachidi e ribes. E le Passule Librandi 2011.

Siamo gli ultimi ad andare via, dopo la visita alla cantina e dopo ulteriori coccole alcoliche. Pensiamo a come sarà, nel prossimo futuro, l’esperienza di pranzare o cenare al Qafiz, pensiamo a quanto potrà costare essere una dei sedici ospiti (noi ci ricordiamo di pensarle queste cose), pensiamo che siamo stati davvero bene stasera.

E mentre pensiamo, tra il fumo del mio sigaro e quello di una nebbiolina che a tratti si fa vedere, ci viene in mente chi portare al Qafiz perché ci offra la cena.

 

 

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