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La campagna è intorno: da Matiniti a Scilla, passando per Melia, ovvero dell’ultimo viaggio con Cory. – LittleBirds On Tour
Case Rurali

La campagna è intorno: da Matiniti a Scilla, passando per Melia, ovvero dell’ultimo viaggio con Cory.

Che giornata fantastica che è stata quel giorno lì. Sono partita da Matiniti e mi sono affacciata da una terrazza verde che guarda lo Stretto, bellissimo e perfetto così com’è, che non c’è bisogno di aggiungere nient’altro. La natura sa già cosa è necessario e bastevole, noi dovremmo solo stare fermi e limitarci a sederci su una sedia per guardare lo spettacolo che ha creato per noi, se solo avessimo un po’ di buon senso.
Sono salita verso Melia e ho incontrato le mie amate case vecchie, che nessuno guarda più mentre si sgretolano lentamente e collassano su se stesse, chiudendo per sempre i ricordi delle vite. Ad ogni viaggio porto con me pezzi di muri, ferri vecchi, giornali corrosi dalla polvere, li conservo per onorare il tempo, per tenere in vita qualcosa, perché ogni volta mi dispiace.
Quel giorno lì quante farfalle ho visto volarmi intorno in spazi disabitati! E c’erano le donne a guardarmi di nascosto e gli uomini a venirmi incontro per sapere chi sono e che cosa voglio, a proteggere il proprio territorio da un’intrusa con un cartellino al collo che fotografa le cose altrui, gonfiando il petto come fanno i maschi per farti capire chi è che comanda. Gonfiano il petto e lanciano missili, i maschi, per fare vedere di chi è quella terra si cui stai camminando e noi continuiamo a lasciarglielo fare, sin da quando il mondo è nato. La campagna e la montagna sono di proprietà di chi le abita e loro ne fanno ciò che vogliono.
La campagna e la montagna sono terre di libertà e anarchia, si costruisce, si demolisce, si trasforma senza regola, senza controllo. La proprietà è privata e solo questo conta.
Ma c’è il silenzio. E la birretta e il panino con la mortadella fatta lì, che sono il mio pranzo.
C’era il signor Nino a cui ho chiesto informazioni sulla strada da fare per andare al baglio e che mi ha detto di seguirlo, ma che prima dovevamo andare a prenderci il caffè che io non ho potuto offrirgli “Non sia mai detto! Sono un uomo, tocca a me! Ancora un poco di galanteria esiste”.
La signora Domenica, invece, stava seduta su una sedia di plastica sul cortile di casa, da lì ogni giorno guarda la strada e le auto che passano e guardava anche me sorridendo mentre mi avvicinavo a lei, tutta curva, con un bastone in mano. Rimane lì seduta per tutto il pomeriggio, a guardare davanti a sé. Mi ha raccontato numerose volte la stessa storia della casa alle sue spalle, che dovevo fotografare, ma è un racconto che ho già sentito tante volte, e non solo quel giorno da lei: i vecchi muoiono, le case e le terre vanno ai figli, ai giovani, ma non le vuole più nessuno e tutto si perde. “Ognuno deve vivere dove è nato”, mi dice, “Vi offro qualcosa? Un bicchiere d’acqua?”. Faceva caldo, ho accettato, ma è che volevo stare ancora con lei, a sentirla raccontarmi la stessa storia di prima, perché mi sembra di doverlo fare per una sorta di amore verso l’umanità dimenticata. Sono come i ruderi a cui ogni tanto cade un pezzo.
Per tornare a casa sono ridiscesa dall’altro lato dello Stretto, arrivando a un balcone da cui si vedono le isole Eolie, a un passo da me, i pescatori che inseguono i pescespada, la montagna che cade nel mare e avevo le vertigini a guidare su quella strada piena di curve. Guidavo molto piano perché Cory ogni tanto faticava, singhiozzava, perdeva il ritmo. Ha molti anni sulle spalle, lo so e lei sa che è l’ultimo suo viaggio, che vuole compiere fino alla fine, resistendo e regalandomi paesaggi di una bellezza da togliere il fiato, un addio da ricordare in un cielo immenso e brillante.
Tutto questo l’ho capito il giorno dopo, quando il meccanico mi ha detto che sarebbe stato inutile metterci mano, che sarebbe stato solo un accanimento terapeutico, che a un certo punto le cose bisogna lasciarle andare.
Mentre rientravo, con questa ferale notizia nel cuore, ho ripensato a quanta strada abbiamo fatto noi due, letteralmente direi, e quanti ricordi abbiamo condiviso, quante sfide superate. È stata con me nel mio primo vero viaggio da sola alla guida, è stata casa ambulante, ha trasportato Banchetto nei boschi e nelle città. Ci ho steso il bucato dentro. Conserva ancora i soldi di Angelo nel cruscotto, una ghianda presa a Tarsia e un mucchio di cianfrusaglie raccolte durante questi ultimi giri. Sul finestrino ci sono le nasate di una Cana che ho amato tanto quanto lei ha amato me e che non ho mai voluto pulire, per poterle guardare e ricordare. C’è tutta la mia libertà in Cory, e l’indipendenza e la solitudine che amo e che ho guadagnato negli anni, lasciando andare la me che ero. E lei che è stata con me ha voluto lasciarmi costruendo un ricordo con cui poter sorridere.
Ho pensato che qualcosa di simile è accaduto l’ultima volta che sono stata alla Casa sul Lago, che sapevo non avrei più visto. Anche in quel caso, prima della fine, ci sono stati due giorni del colore del cielo, con le curve della vita che davano le vertigini, un panorama di futuro che si poteva solo guardare da lontano, sapendo che non si sarebbe mai potuto toccare con mano, farfalle che volavano in un colon sempre più irritabile, muri appena costruito che sarebbero collassati conservando per sempre il ricordo di un amore che si potrà raccontare solo quando il dolore sarà andato via.
Poi è tutto un ricominciare, perché la vita è movimento.
“Senti, ma quindi posso ancora usarla?”
“Si, si, poi quando vedi che fa fumo ti fermi”.

 

 

 

 

 

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