Ieri sera decido di finire il libro che avevo iniziato a leggere e di bere una birra. Vado da sola al pub, come mi sta accadendo sempre più spesso. Scelgo il tavolo più bello, il locale è ancora vuoto e posso permettermelo.
Ho chiesto al ragazzo al bancone di darmi una birra che potesse placare la mia irrequietezza, o che la alimentasse…non avevo le idee ben chiare. Volevo qualcosa che mi facesse pizzicare il palato, che mi friccicasse in bocca. Me ne suggerisce una. Arturo mi dice, mentre vado al mio tavolo, che non sono stata consigliata al meglio. Poi mi raggiunge e inizia a versarmi la birra. Adesso ho imparato che devo saper aspettare prima di bere. Devo lasciare il tempo alla schiuma di formarsi. Non si può avere fretta.
Osservo Arturo svuotare la bottiglia lentamente, i suoi gesti sono ampi, cadenzati, attenti, sapienti. Lui aspetta che uno strato di schiuma si dissolva prima di versare ancora, e più aspetta, più il mio bicchiere sembra un oggetto bellissimo da prendere subito. Ma Arturo mi dice che devo forzarmi ad aspettare. Ha ragione. Inizio a bere e scopro che ha indovinato, come sempre, non è la birra che stavo cercando ma è buona e vi ritrovo un sapore che mi ricorda qualcosa, anche se non so bene cosa. E così freno la mia irrequietezza e aspetto.
Qualche giorno fa, di ritorno dal mio ultimo viaggio, incontro per caso Marino. Ci conosciamo da poco ma abbiamo capito di essere molto simili: siamo solitari, misteriosi, ci piace indugiare, a volte, quando il cielo è nuvoloso, nel nostro lato oscuro, ci piace assecondare la nostra natura malinconica. Non ci vediamo spesso noi due perché ognuno ha la propria vita così piena di cose da fare, ma la verità è che lui non vuole essere invadente e sa aspettare. Io starei sempre lì a dirgli “Dai, vediamoci, usciamo, conosco un posto in cui preparano un Moscow Mule fantastico…“. Io direi così perché sono una irrequieta logorroica, lui declina gli inviti perché è un irrequieto che sa aspettare.
E così, dai suoi rifiuti e dalle sue assenze io imparo ad aspettare il prossimo incontro. Imparo che il tempo che divide l’oggi in cui ci si vede dalla prossima volta, servirà a riempirci di storie da raccontare, di desideri da realizzare, di domande da porci e di risposte da darci. E così freno la mia irrequietezza e aspetto.
Da più di una settimana io e Giacomo abbiamo iniziato a scriverci. Ci siamo conosciuti ad una degustazione di vino e abbiamo scoperto di avere in comune alcune letture: Peynaud, Lear, De Moraes, Gaetani. Non si va mai oltre una, al massimo due email al giorno. Lui mi scrive di vino, io gli racconto la mia terra. Io lo tempesterei di informazioni, foto, link, citazioni. Io risponderei immediatamente dopo aver ricevuto una sua email e mi aspetterei che anche lui facesse come me. Invece Giacomo sa aspettare. Io osservo questa sua attitudine e mi rendo conto quanto sia diversa dalla mia. Giacomo mi ha insegnato che le lettere che ci scambiamo vanno lette e rilette e lette ancora prima di avere una risposta. Ogni parola scritta è sentita, non è gettata lì, è scelta, è pensata. Ogni parola scritta è proprio quella giusta e non potrebbe essere un’altra. Rispondo e aspetto. E così freno la mia irrequietezza.
Sono sempre stata irrequieta. Ho iniziato la mia vita in fretta, non ho saputo aspettare. Ho avuto un figlio, mi sono sposata, ho avuto una famiglia. E’ avvenuto tutto così in fretta.
Adesso le persone che incontro, a quanto pare, mi insegnano ad aspettare.
Adesso, una schiuma irrequieta aspetta solo di essere bevuta.