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La Dea Madre (01/09/2015)

Non so da quanto tempo volevo farlo, ma so che rimandavo di anno in anno perchè ogni volta non era quella buona. Il mio compleanno è sempre stato un giorno controverso: felicità e malinconia che si rincorrono in modo schizofrenico. Da bambina e adolescente posso contare pochissime feste con compagni di scuola e amici, sia perchè non mi filava nessuno, sia perchè spesso il viaggio di famiglia estivo si faceva dopo ferragosto. Ricordo molti compleanni festeggiati fuori casa.
Quando poi ho avuto una famiglia si faceva un pranzo tutti insieme e poi scappavo con Domenico e i bambini.
Non spengo mai le candeline giuste, decido che compleanno festeggiare, in base a quanti anni mi sento dentro. Ultimamente mi sto aggirando in un intorno del numero 37, anche se sono molti di più.

Il 2015 è stato l’anno giusto, il tempo giusto, con gli anni giusti e lo spirito giusto. Mi sono regalata un viaggio nel cuore della mia Terra. Sono andata nella casa della Dea Madre che abita dentro la montagna. Ci siamo guardate negli occhi e ci siamo riconosciute. Abbiamo visto la scintilla.
Io sono stata a Polsi.

Scendere al Santuario, nel giorno della festa che coincide con il mio compleanno, è un viaggio dell’anima, a ritroso nel tempo. Sa di eternità che si ripete.

Ho cercato chi poteva portarmi con se e mi sono unita ad una carovana che partiva da Taurianova. Ho preparato un piccolo bagaglio, il sacco a pelo, una torta per festeggiare con persone sconsciute. Ho indossato vestiti anonimi e ho messo la fede al dito, recuperandola dal cassetto. Era necessario mostrare il mio stato civile per definire i limiti e i ruoli.
Avevo appuntamento con R. alle 6:00 del mattino in un posteggio di un centro commerciale della Piana. L’ho seguito in auto fino a casa sua ascoltando Spirit in the Sky alla radio, che mi sembrava cosa buona e giusta. Lì ho conosciuto la moglie C. e gli altri membri della carovana, che arrivavano uno dopo l’altro. Siamo saliti su un vecchio pulmino celeste, con la vernice scrostata in alcuni punti che si vedeva la ruggine. R. mi ha fatto sedere in prima fila, anche se sono stata l’ultima ad essersi aggregata al gruppo composto da circa una quindicina tra donne, ragazze e cotrari che hanno suonato, ininterrottamente, tarantelle con tamburello e organetto in fondo al pulmino; eravamo più del previsto e quindi hanno provveduto aggiungendo una fila di sedie di legno portate da casa, pieghevoli, nel corridoio centrale, tra le due file di sedili. C’era anche don M., che fa il capocarovana da sessant’anni, ed era seduto anche lui in prima fila, vicino alla porta del pulmino, per controllare tutto e tutti. Gli portavano rispetto, non sembrava in perfetta forma e infatti mi ha detto “Ho chiesto alla Madonna di farmi guarire. Non mi ha fatto la grazia. Si vede che non me lo merito“. Io ascoltavo e osservavo, in silenzio.
Chista è ‘a riggitana, vinni sula ‘i Riggiu” – “Sula? E picchì sula? E tò maritu?”, ho risposto mantenendomi sul vago “E’ fuori città e io ci tenevo ad essere qui lo stesso”. 

La strada per arrivare al Santuario è stretta, in alcuni punti a strapiombo e in altri alcuni metri sono franati via, ma attraversa luoghi meravigliosi. Nessuno ha paura perchè niente può accadere ai fedeli che viaggiano per raggiungere la casa della Madonna. Quando siamo arrivati la mia felicità era piena perchè finalmente ero lì, scesa nel cuore, nel profondo della mia montagna, attraverso la fiumara che vi penetra dentro, nel ventre, nell’utero da cui tutto nasce.  Abbiamo lasciato le nostre cose in un bar, dove poi le donne della carovana avrebbero cucinato per tutti una pinna di pescestocco, e ho iniziato ad andare in giro, pensando di poter fare come ho sempre fatto: girare da sola e bere birra al bar. E invece ho scoperto che R. mi seguiva dappertutto, non mi lasciava mai sola, dove andavo io c’era lui “Io sono responsabile di te“, “R., vai tranquillo. Io posso stare sola, vai…“, “No, no. Quattro occhi sono meglio di due“. Lui mi doveva proteggere, glielo aveva raccomandato don M. quando si era reso conto che io ero una donna sposata ma da sola.
Io, solitaria e girovaga, mi sono ritrovata prigioniera a Polsi, prigioniera di R. da cui non potevo liberarmi perchè altrimenti lo avrei messo in difficoltà. E allora ho accettato le regole del gioco. E’ tutto diverso qui, ci sono regole diverse, rigide, bisogna stare attenti a non sbagliare, a non offendere. Siamo in un tempo arcaico. Ancestrale. Sporco, a volte.

Qualcuno mi chiedeva “Signora o signorina?“, e tutti, prima di rivolgermi la parola, mi guardavano la mano sinistra, quella della fede. La Signora va rispettata, non si può corteggiare. La puoi guardare, desiderare, immaginare, ma non può essere tua. Ma per rispetto del marito, non per quello di lei. Eppure, hanno capito, forse sentito, che sì, sono una donna, ma sono anche altro. Non cammino dietro ad un marito, non ho bambini in braccio, non sto in gruppo con altre donne a pregare. E dopo qualche parola non riuscivano a guardarmi negli occhi. Io sono diretta, io colpisco, io non abbasso lo sguardo di fronte all’uomo e loro non possono reggerlo. Sono loro ad abbassarlo per primi. E’ come se i secoli di costrizioni e repressioni del femminino, che io inconsciamente mi porto dentro come tutte noi altre, si sgretolassero attraverso i miei e dentro i loro occhi verdi come l’acqua delle fiumare.

Con R. siamo andati in giro a cercare un posto dove stendere i sacchi a pelo per dormire qualche ora durante la veglia notturna e poi abbiamo raggiunto gli altri al bar, dove già il pescestocco era quasi pronto. Visto che non potevo andare da nessuna parte, R. si è potuto rilassare un attimo e io ne ho approfittato per fare un giro all’interno del bar e nel cortile sul retro. Lì c’era un gruppo di uomini, ognuno con il suo grasso addominale mostrato con orgoglio, che stavano per iniziare a pranzare. Si è presentata l’occasione per sfidare ancora una volta le regole e il maschile. Non potevo rinunciare. Non mi sono tirata indietro e ho superato la prova. Io e i miei riti di passaggio. Io e il mio desiderio, bisogno direi, di superare i miei limiti e quelli imposti dalle regole del mondo, fatte dagli uomini per una moltitudine di anime che sono femmine e maschi.
Aviti ‘nta comitiva ‘na servaggia i muntagna“, questo è stato il mio premio. E vino e formaggio e pane e pomodoro. E uomini che mi celebravano come una Madonna in trono e in quel momento io ero donna e uomo insieme. Una sorta di divinità, insomma.

Si camminava, R. incontrava amici e salutava. E’ arrivato S. dicendo che è stato pochissimo al confessionale “qualche bestemmia, qualche grida, vado solo qualche volta a Messa…e finia“. Ma prima di lui, ci raccontava, c’era una ragazza che è stata mezz’ora “e che aveva da dire per tutto quel tempo?
forse aveva qualcosa di pesante da dire
e lo dice al prete?
e a chi dovrebbe dirlo se non al prete?
alla Madonna, da sola!
S. mi raccontava che se qualcuno dovesse denunciarlo si dovrebbe fare 5 anni di prigione. A 48 anni era già uomo e quando l’ho incontrato ne aveva 53. Mi ha chiesto se sarei andata a Polsi anche l’anno prossimo e mi ha detto che avrei dovuto portare mio marito “compriamo la carne, stiamo insieme, arrostiamo, mangiamo. Ma se poi vengono le nostre mogli è finita…
Ah, quindi le mogli no?
No, o uomini o donne
Gli ho detto che qualcuno mi chiama donna-uomo,E’ vero! sei una donna aperta, sorridente, parli. Ci sunnu certi fimmini cà fungia. Non si poti parrari. Non si sapi chi hanno, non si ponnu vardari“.
E mentre mi diceva questo io mi guardavo intorno e passavo davanti a una gruppata di uomini seduti a bere birra e invece c’era C. che preferiva passare dietro di loro, anche se doveva fare più strada e con più scomodità. Mentre altre stavano sedute dietro la finestra a controllare il mondo e a reggerlo da lì.
Loro invece sono bastasi, sono sciarrieri, ballano una tarantella cruda e hanno le medagliette della Madonna attaccate al foulard o al cappello.
Loro venerano la Madonna, la Dea Madre. Proprio lì, dove gli uomini hanno i capelli scuri e gli occhi chiari. Lì, dove le donne governano da dietro una finestra. Lì, dove gli uomini abbassano lo sguardo se una donna li guarda dritto negli occhi. Lì, dove tutto inizia.

Ho preso la torta che avevo portato, ho messo su una candelina rosa e L., l’autista del pulmino, ha portato una statua della Madonna perchè io spegnessi la candelina insieme a lei.

M. mi ha detto che questo compleanno non lo dimenticherò mai. Come quello dei suoi 40 anni che lei era a scuola per prendere la licenza media e le hanno organizzato una festa a sorpresa con tutte e tre le classi.

M. ha ragione, non lo dimenticherò mai. Lo ricorderò e mi ritroverò lì, dove la mia Terra ha un cuore femmina.


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