Pensare

Ci sono delle cose

Tutto è cominciato quando ho visto quella foto di mio padre di profilo, in bianco e nero, più o meno alla mia età, che mia madre aveva pubblicato commentandola con la parola “unico” accompagnata da un cuore.

Quella foto e quella parola, insieme, hanno smosso lacrime che tenevo nascoste dentro, quelle stesse che, forse, mi avevano regalato l’epico mal di budella di un paio di giorni prima.
Ho pensato, alle 3:40 di notte, a ciò che volesse dire mia madre di mio padre, che non è più qui da quasi 5 anni ormai, definendolo unico, a lei che ha imparato a giocare con l’amore che alla fine è un sentimento generale e universale, al grande amore che ancora prova per lui e al significato che ha per me questa parola, soprattutto in questo momento della mia vita. E ho scoperto che continua ad avere un gran significato. Ma ha anche qualcosa di più.

Attorno a questa parola, adesso, ruotano consapevolezze che sono arrivate con fatica, con lacrime e mal di stomaco. Una su tutte? Non sentirsi più indispensabili.

Ma in questo mondo pieno di anime con cui vale la pena di entrare in contatto, che cosa può rendere l’altro unico?
Ci sono delle cose. Ci sono delle cose e sono quelle che si ricordano.

Ci sono delle cose di te che vorrei poter non dimenticare mai.

Quella volta all’uscita del Liceo, ti avevo incontrato e avevi appena tagliato i capelli, prima li portavi molto più lunghi. Avevi un maglione bianco e un impermeabile blu. Mi hai salutata e ti sei avviato, ti sei fermato prima di svoltare l’angolo. Ci siamo guardati. Avevamo capito tutto.

Quella volta che ho telefonato a casa tua per chiederti di uscire, che tu non ti decidevi mai, ma mi ha risposto tua madre perchè tu non eri in casa. Allora le ho detto “Dica di richiamarmi per favore, vorrei uscire con lui”. Aveva capito tutto.

Quella volta che mi hai chiesto quale fosse per me il senso della vita e io ti ho risposto “armonia”, senza aver capito nemmeno io cosa avevo appena detto. Forse lo capirò soltanto nell’ultimo giorno.

Quella volta in cui, appena il treno si è mosso, ci siamo abbracciati felici e così forte da perdere in contatto con il mondo. Avevamo capito che non saremmo tornati più indietro.

Quella volta che guardavamo vestitini per neonati e io ti dicevo che avrei voluto avere 4 o 5 figli, senza sapere che uno me lo avevi già regalato e stava lì ad osservarci senza essere visto e a chiedersi in che strana famiglia fosse capitato. Non avevamo capito niente.

Quella volta che li hai presi in braccio per la prima volta tutti e tre e quella volta in cui avresti voluto prendere in braccio anche lei che non ce ne ha dato il tempo. Avevi capito che cosa significa la vita.

Quella volta in cui me ne sono andata via di casa perchè non ce la facevo più e tu sei venuto a prendermi per portarmi a casa. Avevo capito che la mia libertà doveva trovare lo spazio tra noi due.

Quella volta in cui non potevamo sopportarci più perche la nostra rabbia ci aveva fatto scoprire il lato che tenevamo nascosto anche a noi stessi e che ci siamo detti che stavamo provando a far finire tutto. Abbiamo capito che siamo mondi di luce che proiettano ombre sull’altro.

Quelle volte che abbiamo dimenticato per proteggerci perchè abbiamo capito che, in qualche occasione, la dimenticanza è l’unica soluzione possibile.

Quella volta in cui mi sei capitato davanti per portarmi in salvo e per farmi vedere quale fosse la mia vera vita. Anche adesso che, forse, la mia vera vita è così scomoda e faticosa da accettare anche per chi me l’ha tirata fuori tra sorrisi e lacrime.

Ecco che cosa è unico. Ci sono delle cose che non dovremmo poter dimenticare mai.

 

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