Pensare

Bilanciare la vita

Sono nata e cresciuta in una famiglia borghese, da padre umbro e madre calabrese, negli anni ’70 e ’80.

Ho sempre avuto tutto e ciò che non ho avuto non l’ho mai rimpianto perchè conoscevo benissimo il motivo per cui non potevo averlo. Stavamo bene economicamente, ero una bambina ben educata, che non faceva capricci perchè sapeva fin dove poteva spingersi.

Ho mangiato pane e salmone, poca Nutella e ancor meno merendine.

Avevo la Casa della Barbie, quella su tre piani, con il fondale di cartone e l’ascensore che andava su e giù con un filo.

Avevo una stanza enorme piena di giocattoli con cui giocavo da sola, molto raramente con mia sorella.

Non avevo amici. I miei compagni di scuola, elementare e media, venivano raramente alle mie feste di compleanno perchè abitavo in un posto poco facile da raggiungere (così dicevano) e non c’erano whattsapp nè le indicazioni di google maps. In realtà ero troppo timida per poter stare simpatica a qualcuno. Ero anche bruttarella.

Avrei voluto vestirmi come volevo ma ero inserita in un ambiente sociale in cui l’aspetto esteriore e la compostezza erano sopravvalutati.

Da piccola pensavo che sarei diventata ballerina o infermiera. Mi piaceva stare al centro dell’attenzione, indossavo vestiti da damina e mi piaceva far roteare le lunghe e ampie gonne. Pensavo di essere la Principessa sul pisello perchè in casa c’era una ragazza che faceva le pulizie e stava con me e mia sorella, c’era un signore che si occupava delle piante in balcone e qualcuno che veniva a prenderci a scuola.

C’erano regali giganti a Natale e pranzi con amici e parenti e giochi di carte. C’era mia madre, una perfetta padrona di casa, e mio padre, un Signore che, se avesse dovuto farlo, avrebbe “messo la zolletta di zucchero nel the prendendola con le pinze anche se fosse stato da solo“.

C’erano gli orari stabiliti, la routine, le abitudini, il pigiamino con le pantofoline e la vestaglia. C’era un rigore da nobiltà inglese.

C’erano i cani e il merlo indiano che diceva le parolacce e imitava la risata di mia madre.

C’erano delle memorabili feste di Carnevale, in cui il senso dell’umorismo e la voglia di divertirsi rompevano le righe dell’impeccabile perfezione quotidiana.

E c’era mia sorella, con i suoi sport, la passione per gli animali, quel suo silenzio imperturbabile che interruppe quel giorno che si seppe che io ero incinta, contro tutte le aspettative da famiglia per bene. “Sei una cretina“, mi disse e si girò dall’altra parte del letto. Io spensi la luce e provai a dormire quella prima notte della mia nuova vita.

Quella vita in cui ho scoperto che i soldi finiscono, che se vuoi mangiare devi imparare a cucinare, che un salvadanaio può risolvere la situazione quando mancano ancora due settimane al prossimo stipendio.

Una vita in cui non è tutto facile e se qualcuno che hai partorito piange di notte allora devi alzarti e prendetene cura. Tu o tuo marito, ma nessun altro oltre voi due.

Sperimentare, non dico la povertà perchè sarei eccessiva e ingiusta, ma la ristrettezza economica e saperla affrontare mi ha resa più forte e più libera. Non ho mai avuto niente da perdere perchè niente da perdere avevo.

Ma tutto avevo da piccola e tutto ho adesso. E’ un tutto diverso, che è figlio dei tanti SI e degli altrettanti NO che i miei genitori mi hanno detto.

Amore e cazziate, bastoni e carote, regole e rotture appena ho avuto il coraggio di ribellarmi. In un equilibrio alchemico di cui nessuno era consapevole e che ho potuto comprendere solo dopo molti anni. Solo da pochi anni.

Avevo immaginato il mio futuro molto diverso da questo che ho costruito.

Non rimpiango nulla.

Sono rimasta, tuttavia, una nobile del cazzo inside.

 

 

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