Pensare,  Raccontare

Respira

13245224_10209171183587014_1344009104843870503_nCi sono mattine in cui le storie si svegliano prima di te e l’unica cosa da fare è lasciarle uscire fuori per evitare di rimanerne soffocata.

“Respira!” era ciò che le dicevano sempre quando aveva quelle crisi in cui le mancava il fiato.
“Stai calma e respira!”. Li odiava quando glielo dicevano, perché lo sapeva benissimo che respirare era l’unica cosa da fare in quei momenti e non è che non volesse farlo. Ma non riusciva a farlo.
Come se fosse facile respirare, come se bastasse inspirare l’aria dal naso, sentirla passare in gola e spingerla giù fino ai polmoni.

Era l’aria a non voler entrare nel suo corpo. Oppure no, era il suo corpo che non voleva quell’aria. Il suo corpo, un giorno, ha iniziato a ribellarsi a lei perché si era reso conto che Ada aveva perso la capacità di ribellarsi. Lei aveva un corpo che voleva manifestarsi, ma le avevano sempre detto che la fisicità andava repressa, che non stava bene lasciarsi guidare dai sensi, che l’istinto andava irreggimentato in un sistema di regole razionali. Alla fine aveva ceduto e si era conformata. Del resto, quell’unica volta in cui aveva provato a ribellarsi e a seguire il suo corpo, l’universo le aveva messo dentro un figlio. Quel giorno Ada ha iniziato a convincersi che il suo corpo l’avrebbe portata all’inferno, se l’avesse seguito ancora.

Erano 304 giorni che non respirava più. Qualcuno li aveva contati, uno per uno. Lui li aveva visti scorrere impotente, con la sofferenza di chi non sa cosa fare, di chi non riesce a trovare soluzioni. Di chi si accartoccia il cervello pensando a quell’aria che riesce a entrare in tutte le maledette fessure del mondo e che non riusciva a entrare nei polmoni di Ada. Malediceva se stesso perché non poteva maledire lei, la amava. Ada era sposata da poco con lui e avevano quel figlio nato da altrettanto poco tempo. Erano felici insieme, questo era innegabile, ma ognuno viveva una sua sofferenza intima e solitaria. Quella che ti invade quando subisci una scelta. Quando non puoi fare a meno di seguire il corso delle cose e devi farlo proprio in quel modo preciso in cui stanno andando.

Erano molto giovani. Ada, nella nuova casa, aveva portato il suo pianoforte, anche se in realtà non lo suonava più da qualche anno ed era sicura che non l’avrebbe fatto mai più. Aveva chiuso con le passioni, con l’istinto, con le sensazioni. Aveva smesso di fare sogni. In quei giorni bisognava che qualcuno piantasse bene i piedi per terra. Ada sapeva di essere coraggiosa e si è fatta forza. Ada è diventata una donna, ma avrebbe voluto respirare ancora come una bambina. Ecco perché quella maledetta aria non le voleva entrare nei polmoni.

Ada si era indurita. Era diventata legnosa. Aveva piantato radici solide, il suo fusto era cresciuto e aveva sviluppato una chioma ricca di foglie, perché ci si potesse riparare alla sua ombra, perché ci si potesse nutrire con il suo ossigeno. Non si era accorta che stava sbagliando. Stava crescendo troppo in fretta e qualcuno, non riuscendo a seguirla, si sentiva inadeguato. E così si sentirà, sempre. Mentre Ada smetteva di respirare, lui faceva di tutto per non soccombere nella sua lotta personale tra il sogno e la realtà. Rimaneva a mezz’aria tra la terra e il cielo. Tra i sogni che non bastavano e i soldi che finivano.

Ada aveva trovato un modo per accettare il suo cambiamento: si era costruita una fede per un dio in cui non aveva mai creduto. La fede purificava il suo corpo e alleggeriva il senso di colpa per quella volta in cui gli aveva dato ascolto. Riunioni, incontri, letture, riflessioni, ritiri, persone. Parole e suggestioni che di giorno in giorno le confermavano di essere sulla strada giusta. Ed era talmente giusta che riusciva a camminare senza respirare. Doveva trattarsi di un miracolo. Non c’erano dubbi.

Poi, Ada ha continuato a vivere, tra felicità condivise e solitudini silenziose. È stata bene tante volte e male altrettante. Ha avuto più gioie che sofferenze, ne è certa, certissima.

Ma Ada ha impiegato una vita per capire che quel giorno, imprecisato nel tempo e nello spazio, aveva sbagliato. La verità le è apparsa tra il sonno e la veglia, molti anni dopo. C’era un numero che le ronzava dentro e che le ricordava i suoi 22 anni. Ha provato a non pensarci, ma il numero le si presentava davanti inaspettatamente. Allora ha pensato che l’universo voleva dirle qualcosa e il suo corpo si è messo in attesa. Ha sfogliato pagine che aveva dimenticato e vi ha letto ciò che si era sempre negata di ascoltare.

Non l’ho scoperto oggi. Ma ho scoperto che sono una stupida. E se provassi a interessarmi di più alle cose? Forse andrebbe molto meglio. Dovrei essere piena di vita con il figlio che ho e con il dolce maritino. Però sono così stupida che non mi accorgo di quello che ho. Sono troppo superficiale. Sento di essere troppo fuori dalla cose della vita. Ma non perché mi ritenga superiore. Assolutamente. Sento che il mondo cambia intorno a me ma è come se io non vivessi qui. È come se fossi un ospite timido in una casa altrui che osserva quello che succede e se ne sta seduto buono buono in un angolino, per non disturbare. Ma perché faccio così? Ho letto quello che c’è scritto qui “La vita è meravigliosa. Senza, saresti morto”. È vero, è come se io fossi morta. Ma ho il dovere di resuscitare. Per mio figlio, per mio marito e per me”.

Ada ha impiegato una vita per riprendere a respirare. Adesso respira come una bambina in un corpo da adulta che non la soffoca più. E per respirare l’aria più pura, ha cucito un filtro con la tela che in questi anni ha intessuto usando i fili delle storie e delle persone che ha incontrato. E in quelle rare occasioni in cui sente che le manca l’aria, toglie il filtro dal viso e lo rinfresca con una lacrima.

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