Mangiare&Bere,  Viaggiare

Della Bellezza, del Vento e del Morzello – Vittorio Sgarbi, I Tesori di Catanzaro: la Città e la bellezza – 11 gennaio 2016 – Catanzaro

ioL’altro giorno mi dicono,  “A Catanzaro arriva Vittorio Sgarbi per presentare l’ultimo suo libro e per parlare delle bellezze della città. Poi ci sarà una cena al Museo MARCA. Tu che fai?“. E io che faccio? Ci penso un attimo.
Mi hanno sempre detto che Catanzaro è una città brutta, la più brutta d’Italia, ed io non la conosco bene. Ci sono stata una sola volta, in una occasione poco piacevole della mia vita, ho fatto una breve passeggiata in centro, una cena in solitaria in una trattoria e un giro in taxi per ritornare al mio alloggio. Di quella volta, però, ricordo momenti bellissimi al Parco della Biodiversità che ha saputo accogliere il mio sconforto, la mia tristezza e ha placidamente trasformato le mie paure in sicuri, seppur sofferti, sorrisi di speranza. Già in quell’occasione avevo avuto modo di chiedermi perché così tante persone mi parlassero della bruttezza invece che della bellezza della città.

Guarda Little Birds, io non so se hai capito bene…Vittorio Sgarbi parlerà delle bellezze di Catanzaro! Si, certo, poi presenterà anche il suo libro, che se vorrai potrai acquistare, e poi ci sarà la cena con Luca Abbruzzino e gli Chef di Cooking Soon, che ovviamente dovrai pagare…ma io, fossi in te, non perderei questa occasione”.  Vabbè, ci penso ancora un attimo: Catanzaro non la conosco, sono incline all’arte, Abbruzzino non so come cucini. D’accordo, vado.

Recupero il mio invito all’ingresso e mi accorgo con estremo piacere che la cena si svolgerà nelle sale del museo. Non so quanto ciò farà bene alle opere esposte, ma la mia anima ne gioverà parecchio. Sono arrivata con un po’ di anticipo scoprendo di aver fatto bene, perché ho la sensazione che i posti messi a disposizione per la Lectio Magistralis siano davvero molti in meno rispetto alla reale affluenza di pubblico. La sensazione è stata confermata all’inizio della cena dall’affanno con cui gli organizzatori si aggiravano tra i tavoli alla ricerca di posti liberi da assegnare, anche a chi aveva regolarmente prenotato e pagato il biglietto di ingresso. Ma si sa, poteva e doveva essere previsto che la presenza di Sgarbi avrebbe richiamato, oltre gli appassionati, anche un buon numero di curiosi, di autorità non paganti e di persone a cui, evidentemente, proprio non si poteva dire di no, nonostante i posti limitati.

Vittorio Sgarbi, della bellezza della città, però, ha parlato davvero poco, esordendo con un “Ho memoria delle bruttezze di Catanzaro: una delle piazze più brutte d’Italia“, per continuare con un breve e stringato racconto del suo pomeriggio impiegato per la visita della città alla scoperta del suo patrimonio culturale, del rapporto con la Calabria e con il meridione in generale, delle 490 querele collezionate durante gli anni. Il tutto condito dal suo netto, schietto e tagliente egocentrismo che o lo odi o lo ami.
Insomma, il mio desiderio di sentir parlare di arte non era stato ancora appagato: “Vabbè, ma adesso inizierà la presentazione del libro (Dal cielo alla terra. Da Michelangelo a Caravaggio. Il tesoro d’Italia, vol. 3, Bompiani), in cui dovrà parlarne per forza!“. E invece, sono lì ad ascoltare un altro racconto sintetico, sviluppato attraverso il commento di circa una decina di immagini proiettate, con interpretazioni funamboliche delle opere presentate: l’arte da social network. Mi ha un po’ ricordato certi degustatori di vino che, per descrivere ciò che hanno nel bicchiere, usano termini così fantasiosi, paragoni così estremi, similitudini così assurde, che ci si dimentica dell’essenza: terra, sole, acino, succo, tempo, sudore, vino.

Terminati gli interventi, ho lasciato il pubblico ad affannarsi per la foto di rito e per l’autografo sul libro e ho cercato di nutrire la mia insoddisfazione con il finger food (ricordo con molto affetto la Creme brulèe alla ‘nduja con olive disidratate di Nino Rossi e le Polpettine di cervello di agnello con crema di rapa rossa di Antonio Biafora) e di spegnere la mia sete di conoscenza con il Rosaneti, spumante brut metodo classico rosato da Gaglioppo, di Cantine Librandi.

Quando mi sono avvicinata al mio tavolo per la cena, ho capito che da lì in poi sarebbe stato tutto diverso: alle mie spalle avevo un quadro di Mattia Preti, I due filosofi, Eraclito e Democrito. E poichè Sgarbi era stato in grado solo di accendere ulteriormente la mia curiosità su Catanzaro, ho chiesto aiuto ai miei compagni di tavolo, catanzaresi, come Angela (calabrianostracultura), ad esempio, che mi ha indicato cosa avrei dovuto vedere l’indomani. E poi c’era Isa, e la sua mente vulcanica.

La cena si è svolta con grande piacevolezza per la gola e per il cuore.
La tartare di gambero accostata a una salsa di tobinambur e una alla mela è stata un intreccio delicato di tre diverse dolcezze che sono state avvolte da un sorso di Efeso (Val di Neto bianco IGT 2014, uve Mantonico, Cantine Librandi); gli gnocchi, morbidi come il velluto per cui Catanzaro è stata tanto famosa, erano velati da un latte di baccalà e sostenuti dalle note sapide delle olive; il maiale, rosa e morbido, succulento come il melograno che lo bagnava, era accompagnato da una purea delicatissima di cavolfiore e da una fresca, quanto inaspettata brunoise di cavolfiore crudo. Con i due piatti abbiamo bevuto il Magno Megonio (Val di Neto rosso IGT 2013, uve Magliocco, Cantine Librandi). Il dolce, la “Pittanchiusa”, è stata aperta sul piatto e declinata in gelato alla nocciola, crema di noci, crema di uvetta, crumble e sfoglia di meringa.
Tra un piatto e l’altro ognuno di noi ha tenuto la sua personale Lectio Magistralis, tra strade da percorrere, politici da dimenticare, scrittori di strada da invitare, nuovi orizzonti da guardare, pensieri diversi da innescare.

Catanzaro non è brutta. E’ che si deve andare a cercarla questa città. Si deve abbandonare l’auto da qualche parte e camminarla a piedi. Si deve uscire dal Corso Mazzini e perdersi tra i vicoli. Sono partita dalla statua del Cavatore per arrivare al Complesso Monumentale di San Giovanni dove ho sperimentato uno dei tratti più caratteristici della città: il Vento. Dice il proverbio che “trovare un amico è così raro come un giorno senza vento a Catanzaro“. Ed io mi sono lasciata invadere da questo vento ondeggiante, ora più forte ora più debole. Ritmicamente violento sulle cose e sulle persone. E lassù, su quello spiazzo panoramico ho avuto paura di non avere la forza per contrastarlo. Ho temuto di cedergli, di perdere il contatto con il terreno e di volare via, senza poter decidere dove mi sarei fermata. Catanzaro è la città del Vento.
Ho girato per i vicoli ed ho trovato la Bellezza. Era sempre stata lì a portata di mano e di occhi. Semplicemente, non ero riuscita a vederla prima.

Camminando, sono arrivata alla Trattoria Talarico (Vico I Alessandro Turco) dove mi sono fermata per trovare tregua dal Vento e per provare il Morzello, il piatto tipico di Catanzaro a base di trippa, cuore e polmone, come mi spiega il signor Salvatore.
E’ piccante?“, chiedo alla figlia di Salvatore, il titolare.
E’ poco piccante, ma tieni presente che io mangio molto piccante. Ti porto ancora peperoncino a parte e in caso lo aggiungi
Vabbè, bevo un po’ di vino, no?
Ah, certo! Il vino è fondamentale!
Mi hanno dato uno strofinaccio da usare come bavaglino. Il Morzello in pitta si mangia con le mani e si addenta, non ha importanza se ti sporchi. E io, ovviamente, mi sono sporcata, ho chiesto scusa ai presenti per la mia imperizia e mi sono distinta per la classe con cui tenevo in mano la pitta, un pane a ciambella schiacciato, rigorosamente con i mignoli all’insù.
Qui si conoscono tutti e ti fanno sentire a casa. Qui chi entra saluta tutti i presenti. E’ una trattoria vera. Qualcuno mi vede scrivere e mi chiede “Lei si ricarica così per studiare? Bevendo vino?
E che faccio? Lo lascio? Non potrei mai!
Eh no…è il sangue di Dio!

Ero pronta a rientrare a casa, con il mio bagaglio finalmente pieno di Bellezza, di Vento e di Morzello, ma la giornata ha voluto regalarmi l’incontro con uno di quei bambini che ogni tanto arrivano su questo mondo, chissà da dove, per ricordarci che non dobbiamo smettere mai, ma proprio mai, di cercare, di domandare, di osservare, di toccare e di capire. La Bellezza del genio e il Vento della curiosità. Eccolo il senso, finalmente, del mio viaggio a Catanzaro. Grazie, Nicolò.

 

 

10 commenti

  • Eleonor Chiera

    Un gran bell’articolo… A questo punto, grazie a Sgarbi (che personalmente NON sopporto!!!) per averti fatta andare a scoprire una bellezza nascosta!!! Evviva il Vento e “l’ILLUSTRISSIMO” (IL MORZELLO, of course!)

  • Aldo - Contea d'o morzeddhu catanzarisa

    Grazie per avere scritto con tanta delicatezza della mia cara Catanzaro. Nel breve tempo del tuo soggiorno hai saputo “vedere” l’anima di questa città, apparentemente dura ma piena di valori positivi. Complimenti, ovviamente, per la competenza nella parte enogastronomica.

  • stefania

    Brava, hai colto l’essenza di Catanzaro ed i catanzaresi. La nostra non è certo una bella città, sgarbi non ha torto quando parla delle sue bruttezze, ma se cerchi ci sono mille bellezze che le varie amministrazioni hanno distrutto…perché catanzaro era bella ai tempi delle nostre nonne e potrebbe tornare a quella bellezza

  • Emanuela

    Bellissimo articolo ..complimenti, la Trattoria Talarico di cui parli è dei miei zii e delle mie cugine che sono nate e cresciute li dentro.. leggere il tuo racconto è stato emozionante, hai saputo cogliere in pieno l’essenza della trattoria e della famiglia. Grazie anche a nome loro ! p.s. io nn ti conosco..ho riconosciuto il quadro alle tue spalle della trattoria e ho cliccato..sei stata una bellissima scoperta.

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *