Pensare

Un altro anno

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Io sono nata l’1 settembre e quel giorno, oltre ad essere il mio compleanno, rappresenta per me l’inizio del nuovo anno. Del resto, lo era anche per i bizantini.
Quel giorno lo vivo con un piede pronto a compiere un passo in avanti nel futuro e con l’altro invischiato nella sacca dei ricordi di ciò che ho vissuto durante l’anno appena compiuto. Con quella malinconia e quei sentimenti traballanti che adoro, con l’ansia di scoprire cosa mi aspetta e con la tristezza perversa del tempo che passa.

Eppure, quando mi volto indietro, scopro che le cose che ho fatto sono più di quelle che avrei voluto fare e non ho potuto o voluto fare. E ogni anno diventano sempre di più perché ho capito che a nessuno è dato di sapere quale sarà il proprio giorno per morire. Lo  dice anche Huey Lewis: “We’re Not Here For A Long Time, We’re Here For A Good Time (ascoltala qui). Dunque, meglio farsi trovare pronti e avere qualcosa da raccontare dopo, che sia all’inferno o in paradiso.

Quest’anno sono ritornata sul palcoscenico: ho recitato davanti a un pubblico, ho ricevuto applausi e mi sono sentita meravigliosamente bene. Avevo 18 anni quando frequentavo una scuola di teatro che poi ho dovuto interrompere perché la vita mi ha “invitata” a seguire strade più concrete. Quest’anno ho trovato una persona con cui condividere questo momento: lei scrive e io racconto. Siamo insieme sul palco e ci sentiamo piene e soddisfatte. Ci siamo messe alla prova, con un po’ di incoscienza, e ci siamo scoperte due adorabili teatranti cialtrone. Ho detto “si” senza pensarci troppo, che altrimenti avrei detto “no”. Ho attraversato ridendo la terra capovolta.

Quest’anno sono stata in un paese della jonica, più volte, e ho sistemato i banchi della scuola media insieme ai ragazzi che la frequentavano. Ho provato a far capire loro che tutti abbiamo già dentro la forza per sistemare le cose. Si inizia così e poi si arriva a prendere in mano la propria vita. Forse. Io, almeno, continuo a sperarlo anche se loro mi hanno detto di “non vedere un futuro per questa terra”.

Sono stata in giro per la Calabria e non solo. Ho viaggiato da sola e in compagnia, ma più da sola in verità. Sono stata tra ulivi, tra strade tortuose, tra vigne, in grandi città, in paesi abbandonati, in paesi che stanno morendo, nel cuore della montagna, tra rovine, dentro l’arte e nel suo disfacimento. Sono stata dalla Dea Madre.
In ogni luogo che ho visitato ho trovato una storia da raccontare e un’immagine da conservare.
Quando guardo orizzonti diversi dal mio, quando scruto cieli diversi dal mio, quando cammino per strade diverse dalla mia, quando osservo pietre diverse dalle mie, apro gli occhi quanto più posso. E se esce fuori una lacrima la lascio andare: è la mia anima che si pulisce.

Sono stata un “soffio calabro” nel vento di una città del nord a vedere come opera la volontà di ricominciare la propria vita. A vedere come basta davvero poco per scoprire di avere la forza per farlo, a sperimentare che se tagli i rami secchi dai l’opportunità di farne crescere di nuovi e più forti.

Sono stata a lavorare in un’altra città. Sono stata dietro un bancone a parlare, per venti giorni, della mia terra e a vendere i prodotti che produce. Non ho raccontato le storie negative che tutti conoscono ma quelle belle che non hanno la forza di imporsi e di uscire fuori dai nostri confini. Ho dovuto battere i pugni per dire che la Calabria non è solo peperoncino e basta. Ho lavorato con orari fissi e regole e facendo cose pressoché sempre uguali. Ho parlato moltissimo e mi è piaciuto.
Ho capito che non è facile raccontare di questa Terra. Non lo è perché prima devi rompere il muro del pregiudizio e dei luoghi comuni e devi farlo con un sorriso.
Devi scrollarti di dosso questa polvere di peperoncino che ci ricopre e che ci si è appiccicata addosso e ci colora come dei demoni. Sapevo che non sarebbe stato facile. Ecco perché ho deciso di farlo.

Ho festeggiato i 18 anni di uno dei miei figli e lo abbiamo fatto indossando tutti il pigiama. Non siamo mai stati una famiglia normale.

Quest’anno ho sfilato indossando un paio di scarpe rosse con tacco 12 perché la femminilità è una cosa seria che va affrontata stando più in alto degli altri. Nasciamo femmine ma diventiamo donne solo se lo vogliamo e se crediamo nel privilegio di essere nate così. Camminare sui tacchi non è facile ma quando si impara a farlo non si scende più.

Ho organizzato una festa in cortile per festeggiare l’anniversario dell’infarto di mio marito, tra gli sguardi increduli dei miei vicini e gli abbracci felici dei nostri amici. Perché la vita deve essere sempre celebrata, accada quel che accade.

Ho compiuto 45 anni e sono stata in un posto bellissimo per festeggiarlo, così bello che non sono ancora riuscita a raccontarlo. Lì mi hanno chiamata “A’ servaggia ri muntagni con gli occhi di ghiaccio”. E’ lì che ho incontrato la Dea Madre.
Lì dove gli uomini hanno i capelli scuri e gli occhi chiari.
Lì dove le donne governano da dietro una finestra.
Lì dove gli uomini abbassano lo sguardo se una donna li guarda dritto negli occhi.
Lì dove le donne sono il bene e il male.
Lì dove tutto inizia.
Quest’anno sono stata lì, nel cuore della mia terra femmina.

Ho trovato delle amiche. Una sera abbiamo buttato le nostre mutande in mare, le più brutte che avevamo. Da quel giorno abbiamo iniziato a ridere insieme, a raccontarci, ad aiutarci, a rivelarci, a scoprirci. Da quel giorno ci siamo sentite ancora più libere.
Da quel giorno penso alle “mie Ragazze”: a quello che facciamo l’una per l’altra senza neanche rendercene conto, a quello che siamo state, a ciò che saremo, chi prima chi dopo.
Penso a tutte le altre che guardandoci inizieranno a guardarsi allo specchio e a quelle che saranno sempre e ancora benvenute. E che nessuno ci faccia dimenticare che siamo le dee della terra.

Quest’anno ho spedito un figlio in Australia. Ho pianto quando l’ho fatto, ma non perché ne ho sentito la mancanza. Ho pianto per la me stessa alla sua età, mi sono fatta tenerezza perché io non ho potuto fare alcune cose. Mi sono rivista a 25 anni, già sua madre da cinque, confusa e incerta sull’unica strada che mi sembrava possibile percorrere allora. Mi mancava la dimensione del sogno e dell’avventura, ero troppo grande per essere così giovane.

Ho contato 25 anni di matrimonio. Adesso non mi sposerei. Adesso so che l’amore che provo segue strade diverse, non convenzionali, non accettabili, scomode, difficili. Ma, allora, era la scelta migliore che potessi fare, ne sono assolutamente convinta e sono felice di averla fatta. Ed è stata una scelta che mi ha aperto alla vita, come mai avrei pensato potesse accadere.

Anche quest’anno sono stata severa con me stessa. Sono stata rigorosa. Sono stata ipercritica, inflessibile e spietata. Ma mi sono conquistata. Ho imparato ad amarmi e adoro viziarmi proprio come si fa con la persona amata. Riconosco dove sbaglio, ne faccio tesoro e mi concentro su ciò che non sbaglio. Forse la gente passa più tempo a contare le proprie sconfitte piuttosto che le proprie vittorie. Forse è per questo che non sono felici.

Quest’anno ho iniziato a scrivere per questo blog.
Perché l’ho fatto? Perché sono egocentrica.

E poi ci sono state tante altre cose che a raccontarle non mi credereste mai e quindi me le tengo conservate in un cassetto.

Siate felici.

 

 

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